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Il duro impatto del coronavirus sul prezzo del grano

L’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo lancia l’allarme sull’accesso al cibo nel Bacino. Per i rappresentanti della storica organizzazione risulta essenziale rilanciare l’attenzione degli effetti della pandemia sulla sicurezza alimentare e su quello che può promuovere la comunità internazionale con l’adozione di misure efficaci, contrasto alla speculazione e innovazione tecnologica.

Al momento il legame tra pandemia e accesso al cibo non ha generato problematiche importanti, ma le prime avvisaglie di una guerra al grano sembrano emergere con conseguenze in Europa e in Italia. Sembrerebbe che gli stoccatori, nella speranza di un forte rialzo, attualmente non stiano vendendo il grano rimasto nei silos.

La giustificazione per un prezzo invariato starebbe nell’assenza di compravendite di grano. Le quantità del grano italiano non saranno abbondanti, secondo gli osservatori e gli agronomi. Al centro del dibattito c’è anche un altro problema: tutti i pastifici italiani e i grossi trader che hanno firmato contratti di filiera con gli agricoltori, temono che il prezzo al libero mercato possa essere di gran lunga superiore rispetto a quello previsto nei loro contratti. Le ultime analisi rilevano che nonostante l’incremento del consumo di farina per uso domestico, il comparto molitorio a frumento tenero registra una contrazione delle vendite senza precedenti pari al -25%. Il settore molitorio sta registrando, dall’inizio dell’emergenza COVID-19, una contrazione particolarmente significativa, e comunque senza precedenti, dei volumi di vendita di farina di frumento tenero. A fronte di un incremento nelle vendite delle confezioni da 1 kg, destinate ai consumatori privati e alle famiglie italiane che sono ritornate a cucinare in casa, si registra un crollo della richiesta proveniente dal canale della ristorazione e della pasticceria. Inoltre, viene registrato un preoccupante tracollo dell’export dopo un trend positivo ormai ultra-decennale riconducibile alla insuperabile qualità e versatilità delle farine italiane.

Un recupero nei prossimi mesi appare altamente improbabile tenuto conto, in particolare, che il canale della ristorazione pagherà, anche dopo la fine del periodo di emergenza, una contrazione riconducibile alle misure di cautela dagli esercizi commerciali e al forte ridimensionamento dei classici flussi turistici.

Il flusso commerciale e l’instabilità dei prezzi del grano è legato anche a logiche internazionali. Metà della materia prima trasformata, con percentuali variabili di anno in anno, arriva dall’estero. La Russia ha deciso di trattenere la maggior parte del grano per uso interno dopo essere diventata il maggior esportatore del mondo, mentre il Kazakistan, uno dei maggiori venditori di grano, ha vietato le esportazioni del prodotto. Si tratta di scelte nazionali poiché i governi stanno concentrando l’attenzione sull’alimentazione delle proprie popolazioni, mentre il virus interrompe le catene di approvvigionamento in tutto il mondo.

Altre tensioni si registrano anche per il riso con il Vietnam, che ha temporaneamente sospeso i contratti di esportazione, mentre le quotazioni in Thailandia sono salite ai massimi dal 2013. In aumento anche la soia, il prodotto agricolo tra i più coltivati in tutto il mondo.

Gli effetti della pandemia si trasferiscono dai mercati finanziari a quelli dei metalli preziosi fino alle produzioni agricole la cui disponibilità è diventata strategica con le difficoltà nei trasporti e la chiusura delle frontiere, ma anche per la corsa dei cittadini in tutto il mondo ad accaparrare beni alimentari di base dagli scaffali dei supermercati. Le varietà di grano nel Mediterraneo sono sempre state tante e dalla ottima prestazione grazie alla qualità dei terreni ma anche e soprattutto al clima del Mediterraneo che consente una migliore conservazione dei chicchi.

Il Mediterraneo e la collaborazione interna nel bacino diviene essenziale e a differenza di altri contesti può puntare alla qualità dei grani. Le “varietà locali da conservazione” sono tipologie di grano che mantengono alcune caratteristiche tecniche e agronomiche tipiche del grano diffuso fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Nel 2018 si è verificato un incremento dei consumi di prodotti alimentari provenienti dall’utilizzo di farine e semole di grani autoctoni, che ha riguardato soprattutto la farina integrale e la farina ottenuta da produzioni biologiche, ambedue con tassi di crescita superiore al 10% rispetto al 2017.

È importante ricordare che i grani antichi, i cosiddetti grani autoctoni, sono tipologie di cereali, diffusi e coltivati in passato, che non hanno subito modificazioni e manipolazioni da parte dell’uomo e che non sono stati sacrificati alle logiche di produzione contemporanea che ha preferito alla qualità una maggiore resa per l’industria alimentare. Tali tipologie di grano possiedono un indice di glutine generalmente più basso e devono necessariamente essere lavorati con più attenzione in quanto la lavorazione chiede temperature più basse e tempi più lunghi di lievitazione.

Nell’ottica di profonde trasformazioni commerciali e di consumo anche nel Mediterraneo, la ricerca, la produzione e la vendita dei grani autoctoni potrebbe rappresentare un buon investimento per l’immediato futuro sia per le esportazioni che per il mercato interno, considerando anche che i consumatori tendono sempre più a richiedere e pretendere informazioni sulla qualità, autenticità e tracciabilità dei prodotti consumati.

Articolo di Domenico Letizia pubblicato dal quotidiano economico finanziario “Money.it“.